La chiusura di Megavideo è il primo atto di una battaglia che è in corso negli States sul web: qui il Congresso sta dibattendo sul Sopa, la legge contro la pirateria online e nei giorni scorsi era partita la protesta di Wikipedia e altri siti americani.
Questo però non ha fermato l’FBI che ha proceduto alla chiusura del sito e all’arresto del suo fondatore anche grazie alla collaborazione con la Nuova Zelanda.
Megavideo e Megaupload in realtà non sono siti di file sharing, ma archivi dove gli utenti conservano file di dimensioni troppo grandi da mandare via mail e li condividono in via riservati. I guadagni per il sito arrivano dalle connessioni veloci messe a disposizione degli utenti e dalla pubblicità: sulla carta è tutto legale, ma per il Dipartimento di Giustizia c’è dell’altro.
Il sito per l’accusa ha “riprodotto e distribuito illegalmente su larga scala copie illegali di materiale protetto da copyright, tra cui film – anche prima dell’arrivo in sala – musica, programmi televisivi, libri elettronici e software“.
I reati di cui sono accusati gli indagati vanno dall’associazione a delinquere finalizzata all’estorsione, al riciclaggio e alla violazione del diritto d’autore, il che significa 50 anni di prigione per ciascuno.
Megavideo si è difeso qualche giorno prima della chiusura pubblicando una nota in cui apriva al confronto con le major, gelose a loro dire del successo dei siti.
Intanto però l’attacco è partito dal web in particolare da Twitter dove gli hacker hanno annunciato l’operazione #OpMegaUpload, oscurando i siti del dipartimento di Giustizia statunitense, della casa discografica Universal, della Recording Industry Association of America (Riaa) e della Motion Picture Association of America (Mpaa).
fonte: fatti di cronaca
Nessun commento:
Posta un commento